
Un punto di fine anno sugli assetti geopolitici attuali e sulla posizione del nostro Paese e dei suoi lavoratori nel nuovo contesto economico. Si è concentrato su questo il convegno dello scorso 16 dicembre “Il ruolo dell'Italia nel nuovo ordine economico globale: sfide e prospettive” organizzato da Confintesa su iniziativa dell'on. Maurizio Gasparri, nella Sala Zuccari del Senato.
Durante l'incontro sono stati molteplici i temi analizzati, dal possibile cambiamento degli equilibri economici successivo all'elezione di Trump, al conflitto russo-ucraino, passando per il Medio Oriente e per il Mediterraneo, attraverso gli interventi dei relatori: Maurizio Gasparri, Senatore della Repubblica, Dario Fabbri, giornalista e analista geopolitico, Vincenzo Elifani, imprenditore ed economista, e Francesco Prudenzano, Segretario Generale di Confintesa.
Come sottolineato da Massimo Visconti, Presidente di Confintesa, il convegno ha voluto dimostrare l'impegno del sindacato non solo strettamente riferito ai temi del lavoro ma anche relativo al quadro generale in cui il lavoro si inquadra.
Vi proponiamo abstract di uno dei temi focali affrontati, ovvero, "Conflitti in atto e assetto globale":
“Il 2025 sarà l'anno in cui americani e russi si parleranno. Il che non significa che si arriverà a congelare la guerra in Ucraina, ma l'obiettivo americano è esattamente quello”. Dario Fabbri, analista geopolitico, ha sottolineato come il ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti accelererà il processo di dialogo, non tanto per imposizione presidenziale quanto perché l'andamento della guerra russo-ucraina, con la sconfitta sul piano strategico della Russia, non soddisfa gli americani. L'esito del conflitto, infatti, sta tramutando la Russia in quella che Fabbri indica come “socia di minoranza” del sistema cinese ed è dunque auspicabile per gli Usa, proprio per staccare la Russia dalla Cina, un congelamento del conflitto in atto.
“La guerra non ci ha di certo aiutato. Molte nostre imprese hanno dovuto chiudere i rapporti con la Russia e con altri Paesi con i quali commerciava e i costi sono aumentati”: Vincenzo Elifani, imprenditore ed economista, ha analizzato il conflitto russo-ucraino dal punto di vista imprenditoriale ed economico: le sanzioni comminate alla Russia si sono infatti riversate anche sulle imprese italiane e, anche per questo, è necessario ricucire lo strappo attraverso la diplomazia. L'elezione di Trump, con la sua promessa di politica protezionistica, potrebbe complicare le cose sebbene gli scambi italiani con gli Stati Uniti siano nettamente inferiori rispetto a quelli con la Russia e con i Paesi orientali. Secondo Elifani, la politica economica di Trump verosimilmente non colpirà i prodotti italiani, che rappresentano prodotti di eccellenza, e comunque aprirà a una possibile opportunità: una maggiore chiusura da parte degli USA, più concentrata sul fronte interno, potrebbe fare bene all'Europa offrendole una possibilità di responsabilizzazione.
“Pensiamo di non doverci preoccupare di come si fa la storia. Gli Stati Uniti però non hanno più la forza e la voglia di pensare a noi e di questo passo rimarremo soli. Non possiamo continuare ad essere una villa in una foresta incendiata”: la perdita di centralità dell'Italia e dell'Europa nei processi decisionali a livello internazionale è stata analizzata da Francesco Prudenzano, segretario generale di Confintesa, che ha tracciato gli effetti di questa debolezza di ruolo sull'economia del Paese. L’Europa come soggetto geopolitico, già storicamente molto fragile, ha perso ancora più forza a causa della crisi di Francia e Germania, le locomotive economiche del continente. La manifattura italiana, soprattutto del Centro-Nord si poggia anche su un solido legame con la Germania e potrebbe subire gli effetti negativi delle criticità tedesche. L'elezione di Trump e le sue politiche potrebbero peggiorare ulteriormente la situazione, se l'Italia si ostinerà a seguire lo schema del passato, ormai sgretolato.
Persino i recenti interventi di Mario Draghi, come il suo piano di debito pubblico da 800 miliardi per finanziare i settori strategici dell'economia europea, potrebbero non essere risolutivi: l'influenza sull'economia dell'intervento, infatti, sarebbe temporanea. Per questo un maggiore ruolo e spazio nel Mediterraneo sarebbe determinante per il Paese.